Era il 24 marzo dell’anno scorso. Era la Domenica delle Palme e mi sono concesso un giro in moto — un vero Harley Day — insieme al mio collega e amico Domenico Mallardo.
Avevo solo voglia di respirare un po’ di libertà. Non immaginavo certo che quella giornata avrebbe segnato l’inizio di un lungo percorso e un cambio totale di prospettiva: per la prima volta, sarei stato io il paziente. Proprio io, che di pazienti ne ho visti tanti, ma sempre dall’altra parte.
La vita è imprevedibile, scrivevo in un post su Instagram dove raccontavo l’incidente. Già allora cercavo di vedere il lato positivo di una situazione che, francamente, era tutto fuorché piacevole. Provare cosa significa stare “dall’altra parte” – tra ambulanza, codice rosso, pronto soccorso, interventi d’urgenza e risonanze – è stato intenso. E formativo.
Fin da subito, il mio obiettivo era chiaro: rimettermi in piedi il prima possibile, per tornare al mio lavoro e alle persone care. Ma altrettanto chiaro era cosa stavo imparando: a guardare i miei pazienti, per la prima volta, con gli occhi di chi ha vissuto quello che vivono loro.
La speranza e la fiducia sono fondamentali quando sei bloccato a letto, ma non è sempre facile tenerle con sé. Molta della forza, infatti, arriva da chi ti sta accanto: famiglia, amici, colleghi — vicini e lontani — che non mi hanno mai fatto sentire solo.
Le promesse di incontri e impegni futuri sono diventate presto il motore che mi ha spinto avanti. Fino al “primo passo sulla luna” e al ritorno a Napoli per continuare la convalescenza.
È stato proprio in quel periodo che ho perso il mio amico Franco Di Mare, con cui condividevo una rubrica social che poi è diventata questo blog.
Franco, per me, era come un fratello. Nonostante la sua malattia, mi è stato vicino con messaggi, consigli e – come sempre – con il suo esempio di umanità.
Il ritorno a casa, a quella libertà che tanto desideravo, aveva un sapore un po’ più amaro. Ma, come mi diceva spesso Franco, bisognava andare avanti. E l’occasione è arrivata poco dopo le dimissioni: partecipare all’ASCO Annual Meeting 2024. Un evento importante per la ricerca, certo, ma anche per me: era il mio vero ritorno alla normalità, anche se oltreoceano.
Durante l’estate, le stampelle sono rimaste con me per un po’. Mi hanno aiutato a capire che le barriere più difficili da superare non sono quelle fisiche, ma quelle che abbiamo in testa.
E, vi confesso, quella libertà ritrovata aveva un sapore diverso. Nuovo. Pieno.
Forse è proprio questo che succede quando impari a guardare le cose da un altro punto di vista.